In media il rapporto tra popolazione attiva femminile e maschile è in Lombardia dell’80%. Se fossimo uno Stato saremmo il fanalino di coda, avanti solo all’Italia e alla Grecia. Francia e Germania sono al 90%. Nei Paesi del Nord Europa non ci sono praticamente differenze.

Tante, troppe donne lombarde sono lontane dal mondo del lavoro, e non per propria scelta. Quante donne conosciamo, che hanno dovuto rinunciare a lavorare, o hanno dovuto dimettersi, perché il lavoro diventava inconciliabile con la propria vita, con la maternità, con la famiglia?

Qui – nella precarietà del lavoro giovanile, nelle barriere al lavoro femminile – ci sono le radici di un problema del quale si parla pochissimo ed è invece di enorme importanza. In Lombardia ogni anno vanno in pensione più persone di quante ne nascano. Di questo passo il nostro sistema previdenziale e, lasciatemi dire, il nostro stesso tessuto sociale non si sostiene più.

Se non diamo alle donne la possibilità di armonizzare la propria vita professionale e quella personale avremo, come oggi, donne che sacrificano le loro aspirazioni professionali e smettono di lavorare, e donne che fanno meno figli di quelli che vorrebbero. E questo non solo mortifica le aspirazioni di tante di noi, ma compromette la sostenibilità della nostra società.

Cosa proponiamo per abbattere le barriere che tengono lontane le donne dal mondo del lavoro e che rendono difficilmente conciliabili la vita lavorativa da quella familiare? E’ un insieme di politiche, che partono dal potenziamento dei servizi all’infanzia e degli asili nido, con particolare riguardo alla fascia 0-2 anni che oggi è coperta in modo del tutto insufficiente. Vogliamo favorire le politiche di welfare aziendale, per le quali oggi in Lombardia vediamo molte esperienze spontanee che attendono di essere “messe in rete”. E vogliamo dare una risposta concreta al problema della non autosufficienza degli anziani, che penalizza direttamente le donne.


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